Forse
non è un caso che il primo grande evento del secolo sia stato un evento
nefasto, tragico, ma rivelatore di quello che il mondo stava affrontando.
L’attacco alle torri del World Trade Center di New York, con tutti quei morti,
quelle rovine, quel significato emotivo di chi ha attaccato e di chi ha subito,
potrebbe rappresentare l’icona perfetta del periodo storico odierno. In quel
tragico avvenimento sono racchiuse gran parte delle tendenze contraddittorie
del nostro sistema di vita: la globalizzazione economica, il supercapitalismo,
le bolle speculative, lo sfruttamento dei deboli, l’intolleranza religiosa,
quella culturale, il dissipamento dei valori umani, la distruzione e l’inquinamento
dell’habitat, il materialismo, il consumismo, l’eccesso.
Non sembri, quanto detto finora, una sentenza di condanna di quest’ultimo periodo dell’evoluzione umana; ma, per chi ha voglia e soprattutto per chi ha il dovere di prevedere dove ci porterà la strada intrapresa, questi fatti dovrebbero far scattare un campanello d’allarme. D’altronde, sarebbe ingiusto considerare in maniera del tutto negativa la storia recente: lo sviluppo della ricerca scientifica, la diffusione culturale e artistica, l’interconnessione della rete web, l’aumento del PIL dei paesi del terzo mondo, la stessa globalizzazione, anche se da molti tanto esecrata, sono fatti che hanno dato, comunque, una connotazione positiva a questi primi dieci anni del nuovo millennio. Ma alcune tendenze, che già qualcuno individua come vie maestre, se non corrette, lasciano presagire catastrofiche conseguenze. Che succederà per esempio se continueremo a produrre più di quello che è smaltibile, a generare inquinamento, a deturpare la natura, a riscaldare il pianeta; che succederà se continueremo a creare necessità per tutti, senza avere la possibilità di esaudire tutti; e se continueremo a dare un significato solo economico a ogni cosa, anche alla vita umana, agli affetti, ai desideri, ai sogni? Ogni anno che passa, sulla terra, ci sono meno foreste, meno specie animali, più deserto, più cemento, più asfalto, più spazzatura, meno ozono, più veleni nell’aria e nell’acqua, meno petrolio; e nel frattempo gli uomini costruiscono città sempre più grandi, abbandonando le campagne; ormai oltre la metà del genere umano abita le città e le riempie di automobili inquinanti e stressanti, tappezza le vie di messaggi pubblicitari che nutrono illusioni e spingono alla lotta quotidiana per il successo, per la ricchezza a tutti i costi: ma soprattutto a danno di qualcun altro, il vicino di casa, l’amico, il fratello. La violenza nasce anche in questo modo: con gli incentivi al consumo, con la scalata sociale, con la lotta per il potere.
Leggendo Jaques Attali (“Breve storia del futuro”, Fazi Editore) che prevede un futuro fosco e tenebroso, o “I Barbari” di Baricco, negli articoli apparsi su “La Repubblica”, in cui si racconta un nuovo modo di interpretare la cultura e di utilizzare il sapere nella vita di ogni giorno, come nelle scelte più importanti, sembra di scorgere le tracce inquietanti che, uno dei migliori autori di fantascienza, Isaac Asimov, descriveva, giusto 60 anni fa, nel ciclo della “Fondazione”, in cui narra la storia di una civiltà intergalattica (altro che globalizzazione) che raggiunto l’apice della crescita si avvia ad un veloce declino ed a secoli di barbarie; l’autore, allora, immaginava che, per ricostruire la civiltà, occorresse salvare il sapere, la conoscenza, assegnando questo compito a due “fondazioni” che avrebbero guidato l’umanità verso la rinascita.
Il paragone, tra quella fantascienza e la realtà dei giorni nostri, è ritenuto plausibile soltanto dalle correnti di pensiero più estremiste e pessimiste; almeno per ora.
Il crollo del nostro sistema sociale non è (ancora) inevitabile, ma se non si apporteranno cambiamenti sostanziali al modo di pensare la vita, se non si recupereranno valori come il rispetto del mondo in cui viviamo, o il rispetto degli altri, anche di quelli che devono ancora nascere, allora ci sarà il concreto pericolo che le contraddizioni, già oggi sviluppate, facciano esplodere il sistema, scatenando violenza, repressione e inciviltà; qualcuno pensa che stia già avvenendo e non ce ne accorgiamo, o non ce ne vogliamo accorgere.
Il riferimento alle “fondazioni” di Asimov, lì dove indica la conservazione della conoscenza come unica salvezza per la civiltà, ci serve, invece, per presentare la “Piazza culturale”.
Scopo di questa “piazza” è proprio quello di rendere fruibile la cultura; far sì che sia essa a guidare le scelte di ogni giorno, così come quelle più importanti; che decidere di usare i mezzi pubblici, fare la raccolta differenziata, parlare con un amico o un amica, ascoltare i figli, votare per un partito, leggere un libro, sia fatto in modo consapevole, coscienti degli effetti che si generano, utilizzando gli strumenti cognitivi che il sistema di riferimento, il paradigma, attualmente condiviso ci fornisce.
Ma c’è un altro scopo (un po’ come la “seconda fondazione” di Asimov) che vogliamo perseguire, che è quello di trovare alternative al sistema di riferimento condiviso, o, meglio, alternative ai paradigmi che, nelle specifiche discipline, regolano ed indirizzano il nostro comportamento.
In economia per esempio: con la caduta del muro di Berlino e la fine del sistema comunista, il capitalismo è diventato sistema economico globale, accentuando ed amplificando tutte le contraddizioni implicite ad un paradigma concepito in ben altra epoca; la massimizzazione del profitto, la conquista del mercato, la riduzione dei costi, la crescita del PIL, sono diventate le leggi di un sistema che ormai ha dimensioni mondiali; i paesi in via di sviluppo, nel giro di qualche decennio, avranno produzioni interne molto superiori a quelle degli attuali paesi industrializzati e questo comporterà un consumo enorme di risorse naturali limitate, con grande rischio per la qualità della vita dell’intero genere umano; queste regole vanno quindi riadattate alle nuove necessità e alle nuove disponibilità; il PIL non misura il benessere di una nazione, ma solo la sua capacità (a volte necessità) produttiva, la massimizzazione dei profitti crea un consumismo eccessivo, inutile e spesso dannoso; forse è il momento di cercare un nuovo paradigma economico, che tenga conto dell’uomo e della natura come leggi prioritarie.
Anche il sistema giuridico, che peraltro si occupa in gran parte di questioni economiche, ha bisogno di nuovi ambiti; in una società globale, senza barriere agli spostamenti di persone, cose e capitali, dove i colossi multinazionali operano a livello planetario, c’è bisogno di un sistema giuridico sovranazionale che sia in grado di applicare le regole di civiltà più avanzate e non di sfruttare quelle più permissive.
Stesso discorso per i sistemi di governo; la politica è ormai diventata serva dei potentati economici e finanziari (anche di quelli criminali), proprio perché rappresenta interessi troppo provinciali; il sistema democratico fonda su basi di libertà e consapevolezza che oggi sono facilmente manovrabili; forse abbiamo bisogno di un nuovo modello di democrazia per avere un nuovo modello di governo.
E, probabilmente, abbiamo anche bisogno di un nuovo modo di pensare, di un nuovo paradigma filosofico, di uno sconvolgimento concettuale come quello creato dalla rivoluzione copernicana e dagli esperimenti di Galileo, che rimetta l’uomo al centro dell’universo, non come padrone ma come padre, come tutore.
Chissà che non sia proprio la scienza, ancora una volta, a scuotere le menti; le teorie della fisica contemporanea ci annunciano concetti rivoluzionari: la teoria delle stringhe, gli universi paralleli, la visione olografica dell’universo; si manifestano insomma nuovi paradigmi scientifici.
Una scoperta scientifica modifica, anche, il modo di pensare e le funzioni della nostra mente; pensiamo e ci comportiamo diversamente sapendo di non essere soltanto un cervello in una vasca, come immagina Hilary Putnam; prendere coscienza che la terra (e quindi l’uomo) non era il centro dell’universo, come rivelarono Copernico e Galilei, ha modificato gli schemi mentali degli uomini di quel tempo; credere nell’esistenza di Dio fa pensare (non solo agire) in maniera diversa da chi non ci crede; la psicologia e la psicanalisi devono oggi confrontarsi con le neuroscienze per creare nuove regole d’interpretazione del pensiero umano.
Anche l’arte, la letteratura, l’architettura hanno bisogno di nuovi schemi in cui ricomprendere i bisogni dell’uomo di oggi, perché il cambiamento dello stile di vita necessita di nuove abitazioni, nuove città, nuovi libri da leggere o rappresentazioni teatrali da vedere, nuovi modi di concepire la bellezza.
Come i grandi fisici di tutti i tempi hanno sognato di scoprire la legge universale, quella che descrive tutto, dalle dimensioni più piccole a quelle più grandi, dalle relazioni deboli a quelle forti, così si potrebbe anche pensare di trovare un unico paradigma anche per l’uomo, per i suoi comportamenti, per la sua evoluzione; ma questa è davvero fantascienza.
L'Editore